Previdenziali

Quota 100, tra promesse elettorali e incompatibilità

Non sempre la stabilità previdenziale è sinonimo di serenità, ed è quanto rilevato dallo studio che allego.
Anche questo può essere un modo per vedere il bicchiere mezzo pieno.
Certa è una riflessione:  più siamo artefici del nostro destino, più siamo soddisfatti di ciò che otteniamo.
Buona pensione a tutti.
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17 dicembre 2018
 

In pensione sei anni dopo se lo stipendio è basso. Così la riforma beffa i poveri.

La scorsa volta abbiamo parlato di busta arancione e dell’importanza di avere una base di partenza per poter valutare la nostra posizione previdenziale.
Questa volta passiamo a delle simulazioni che ci possono far capire cosa dovremmo fare per affrontare correttamente il “nostro futuro previdenziale”.
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24 maggio 2016

Busta arancione.

Mai come adesso abbiamo bisogno di una buona informazione.
La Busta Arancione non è altro che uno strumento per farci capire che le cose sono cambiate.
E’ per questo che abbiamo la necessità di impadronirci dell’informazione necessaria per rendere il nostro futuro previdenziale più sereno.
Saper che cosa ci aspetta è l’informazione di partenza; per sapere che cosa fare ci sarà sicuramente bisogno di un Consulente Finanziario.
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P.S. Chi non ha la pazienza di aspettare la busta arancione può registrarsi direttamente cliccando al link INPS
11 maggio 2016

Previdenza non significa solo pensione

Che lo vogliamo o no la questione previdenza sarà la questione cruciale per l’assetto socio economico dell’Italia nei prossimi 25 anni; la domanda che si pongono in molti, soprattutto i più giovani è quale sarà la pensione che riceveremo. Questa domanda rischia però di non centrare il punto caldo della questione, vediamo perché: la riforma Monti-Fornero (2011) ha introdotto una modifica strutturale al sistema previdenziale nazionale basata su tre pilastri fondamentali:

  1. Estensione del metodo contributivo per il conteggio dell’ammontare dell’assegno pensionistico per (quasi) tutti.
  2. Allungamento dell’età pensionabile
  3. Adeguamento della prestazione previdenziale alla durata media della vita

 
In sintesi l’introduzione di queste modifiche rende molto difficile una stima esatta per l’ammontare della propria pensione fino al momento in cui si sarà raggiunto il diritto a riceverla. Prima di allora si possono tentare simulazioni (vedi busta arancione dell’ INPS), per cercare di intuire il gap previdenziale (differenza tra il reddito da lavoro percepito e quello da pensione che si percepirà), ma nulla si può dire in ordine all’ammontare dell’assegno previdenziale di anzianità poiché il valore dello stesso dipende dall’applicazione di un parametro variabile biennale (a partire dal 2019) che tende a diminuire con l’allungarsi della vita media ( la logica è la seguente: poiché vivi di più, l’Ente di previdenza deve spalmare il tuo assegno per un numero crescente di anni).
Nessuna certezza in merito al “quanto” quindi, se non la sicurezza che l’Ente corrisponderà il più basso degli assegni possibili. Se a ciò aggiungiamo l’impatto degli ultimi anni di stagnazione economica, tassi di rendimento dei titoli pubblici sotto il 3% e considerato come questi siano la principale asset class delle pance delle Casse previdenziali, comprendiamo bene che le pensioni future stiano già oggi perdendo importanti margini di rivalutazione.
Dunque integrare la pensione futura è una scelta necessaria.
Necessaria ma insufficiente, anche a causa della crisi economica che stiamo attraversando ormai da molti anni infatti, la questione previdenza ha molto più a che fare con la garanzia e protezione del reddito in età lavorativa che non con la semplice integrazione della pensione una volta usciti dal mercato del lavoro. Previdenza significa anche protezione del reddito, la vera domanda da porsi è, come faccio ad arrivare alla pensione? Già perché, se come abbiamo visto nessuna certezza c’è intorno al valore della propria pensione, una certezza esiste in merito all’età: tra i 65 e i 67 anni, con l’obiettivo di portarla in tutta Europa fino a 70. In concreto vuol dire lavorare di più. Che cosa accade però, se si è costretti ad uscire dal mercato del lavoro prima dell’età pensionabile? Fino a che si è relativamente giovani, è possibile riqualificarsi sul mercato, ma quando si è raggiunta la soglia dei 55-58 anni e ci si trova in mezzo ad una pesante ristrutturazione aziendale o ancora ad una decisione di delocalizzazione geografica, non sarà l’appartenenza al management di livello medio alto o un solido contratto indeterminato a salvarci; la vicenda degli “esodati” e le inchieste sull’impatto sociale delle ristrutturazioni lo dimostrano: in questi casi l’alternativa alla disoccupazione è accettare mansioni dequalificate con un impatto reddituale a volte superiore al 30% del reddito che si percepiva nella vita precedente.
Per i professionisti e gli autonomi, i più penalizzati dall’adozione del metodo contributivo, soprattutto se giovani, la vicenda ha tinte ancor più fosche. Inoltre come può un lavoratore mantenere lo stesso ritmo produttivo fino all’agognata età di 65-67 anni?
Non ci sono soluzioni miracolose, tuttavia sarebbe molto importante riuscire a crearsi uno zoccolo duro di valore mentre si è lavoratori attivi che permetta di garantirsi una protezione reddituale a fronte della necessità di dover integrare il proprio reddito oppure al fine di riconquistare, pianificandola, la libertà di rallentare la propria attività lavorativa in sicurezza e serenità.
Ecco allora che il concetto di “pianificazione” significa ridare alle persone la libertà e la responsabilità di gestire finanziariamente la propria vita; produrre reddito diventa non solo un’attività necessaria per affrontare il presente bensì un investimento di risorse che accompagna l’intera vita delle persone fino alla pensione. Il ruolo del consulente in questo caso diventa quello di lavorare con il cliente sull’obiettivo di protezione della capacità di reddito in un’ottica di “ciclo vitale”, portando il risparmiatore a riflettere su questi aspetti.
24 ottobre 2015
 

Preparate il tappabuchi
La riforma del lavoro, il cosi detto Jobs Act, se ha come primo obiettivo il rilancio dell’occupazioni può avere, se non si è accorti e previdenti , come conseguenza una vita contributiva ai fini pensionistici con diversi “buchi” che possono avere come conseguenza un Gap Previdenziale importante.
“I pensionati del futuro dovranno fare affidamento sulla propria capacità di risparmio e di programmazione previdenziale, ma se non si è stati previdenti da giovani, sarà molto complicato avere entrate adeguate da anziani”.
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12 febbraio 2015
Impatto della legge di stabilità sui fondi pensione: norme e simulazione.

La nuova legge di stabilità ha umentato l’aliquota fiscale sui rendimenti finanziari dei fondi pensione a decorrere dal 1.1.2014, viene elevata dall’11,5 al 20%. La decorrenza quindi è retroattiva in deroga allo Statuto del Contribuente. Sono esclusi coloro che hanno già avuto il riscatto della propria posizione. Bisogna tener presente che l’aliquota ordinaria sui rendimenti finanziari è del 26%, quella sui BOT del 12.5% . Pure in questo caso il governo aveva fatto intendere che avrebbe ridotto l’aumento. Si ipotizzava un’aliquota del 17% per allinearla a quella per il tfr. Invece dal cilindro è stato inopinatamente tirato fuori il credito di imposta. Il che di per sé ordinariamente è una cosa positiva, ma in questo caso ha il sapore di una turpi natura. Il testo approvato al comma 92 e seguenti, concede un credito di imposta per Casse previdenziali (del 6%) e Fondi pensione (del 9%) , se decideranno di investire in economia reale, per compensare l’aumento della tassazione, rispettivamente al 26% e al 20%, con tetto di 80 milioni. Leggendo sul sito dell’Agenzia delle Entrate si capisce subito la complessità del meccanismo e la sua dilazione nel tempo. Insomma il governo ha voluto utilizzare un pannicello caldo per lenire lo sdegno dei fondi e delle casse pensioni. L’utilizzo del credito, per il quale si applicano le vigenti disposizioni statali in materia di compensazione, è consentito solo entro i limiti del credito di imposta maturato in ragione degli investimenti realizzati e nel rispetto di limiti massimi pari al 30% nell’anno di accoglimento dell’istanza e 70% nell’anno successivo e al 100% nel secondo anno successivo. La parte di credito eccedente le misure massime sopra indicate per ciascun anno deve essere riportata negli anni successivi e potrà essere fruita entro il secondo anno successivo alla presentazione dell’istanza. La norma rinvia a un decreto attuativo del Mef che indicherà le modalità di adesione dei Fondi e delle Casse a progetti infrastrutturali. La compensazione scatterà dal 2016 per la parte di investimenti realizzata nel corso del prossimo anno e limitata fino al tetto di 80 milioni. La motivazione data a questa norma è quella di spronare a fare investimenti nell’economia italiana invertendo l’attuale tendenza degli investimenti esteri, fatti semplicemente non per esteerofilia, ma perchè più remunerativi e privi di rischi.
Tassazione del tfr
La rivalutazione del tfr è tassata con un’aliquota dell’11%. Dal 1.1.2015 per chi decide di tenersi il tfr, la rivalutazione sarà tassata con aliquota del 17% .
Tfr mensile in busta paga
La Legge di Stabilità 2015 prevede la possibilità di avere mensilmente in busta paga il tfr maturato da gennaio. La richiesta per avere il Tfr  è volontaria, ma la domanda una volta fatta è irrevocabile per tutto il triennio. La domanda può essere fatta dal dipendente privato che sia stato assunto da almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro. Sono esclusi i collaboratori domestici, i lavoratori agricoli, i dipendenti di aziende in crisi ed i dipendenti pubblici. • La disposizione vale per il periodo 1 gennaio 2015 con pagamento da marzo prossimo, con effetto retroattivo, e termina nel giugno 2018. Possono chiedere il tfr in busta paga anche coloro che attualmente sono iscritti ad una forma di previdenza complementare ( Fondo chiuso, aperto o Pip).In tal caso la propria posizione è alimentata solo dal contributo del lavoratore, del datore di lavoro e dai rendimenti finanziari, seppur ridotti dalla nuova tassazione Il Tfr accumulato precedentemente rimane dov’è ( Azienda, Fondo Tesoreria Inps, Fondo pensione). Sugli importi mensili di tfr sarà effettuato il prelievo da parte del Fisco applicando le aliquote Irpef ordinarie. (Il Tfr è costituito da un accantonamento mensile di quote del 6,91% della retribuzione utile. Gli accantonamenti vengono contabilizzati annualmente e rivalutati con il tasso fisso dell’1,5% più il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo Istat)
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30 gennaio 2015

Pensioni da recessione

Una lunga stagnazione dell’economia può ridurre del 20% il futuro assegno pensionistico che la nuova normativa prevede sia rivalutato in base all’andamento del pil italiano.
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06 ottobre 2014

Casse di Previdenza, il pericolo diritti acquisiti.

… a parità di reddito, un pensionato con il vecchio sistema previdenziale prende 3.500 euro, mentre il futuro pensionato arriverà a mala pena a 800…
Se vuoi approfondire leggi l’articolo: Casse di previdenza, il pericolo diritti acquisiti
25 settembre 2014

Pensioni più povere con l'inflazione sotto zero

Con decrescita e deflazione presente in Italia, per la prima volta i contributi versati all’Inps perderanno valore. Se il Pil non torna a salire i futuri assegni previdenziali rischiano di ridursi fino al 20%.
Se volete approfondire l’argomento che interessa certamente tutti coloro che non sono già in pensione vi consiglio di leggere l’articolo apparso sul messaggero il 15 agosto 2014.
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23 settembre 2014

I vantaggi fiscali per chi accantona nei Fondi Pensione

Alla luce del recente riordino della tassazione delle rendite finanziarie e della cosìddetta mini patrimoniale sulle attività finanziarie è diventato ancora più evidente il vantaggio fiscale della Previdenza Complementare rispetto alle altre forme di investimento del risparmio.
Se vuoi approfondire leggi l’articolo apparso sulla rivista Investimenti Finanziari n. 3/2014 che allego:
VantaggiFiscaliPrevidenza09.14
23 settembre 2014